Quando parlo di dolore con le persone che si rivolgono a me per i loro disturbi, mi accorgo di quanto sia complicato spiegare il meccanismo.
Questo dipende un po’ dal fatto che anche a livello clinico non abbiamo ancora ben chiaro tutto il quadro, anche se stiamo facendo passi avanti non da poco. Ho già parlato dei meccanismi del dolore in questo articolo
Molto spesso alcuni dolori hanno un esordio “curiosamente” conseguente ad alcuni episodi emotivamente molto importanti della nostra vita.
Questo lo sappiamo più o meno tutti, ma non lo comprendiamo fino in fondo e di solito ce la caviamo dicendo “somatizzo tutto lì”. Ok… Ma cosa vuol dire?
Percezione del dolore
Dobbiamo ricordarci che il dolore fa parte delle PERCEZIONI. In quanto tale NON è obiettivo, ma assolutamente SOGGETTIVO.
Ogni dolore è diverso e non è possibile dire con certezza che una persona finga di provare dolore in quanto quello che per noi può non essere doloroso, per altre persone invece è straziante.
A vedere dall’esterno le schiene, le spalle, le cervicali dei miei pazienti, spesso non si riconosce nessun segno particolare che indichi il dolore di cui magari soffrono da anni.
La dicotomia del dolore
L’esperienza del dolore è stata troppo a lungo dissociata in aspetti che in realtà sono profondamente intrecciati: un aspetto sensoriale-discriminativo (es. sento dolore? Dove fa male? Quanto fa male?), quindi cognitivo ed un aspetto affettivo-motivazionale (es. quanto è emotivamente spiacevole il dolore?).
Tuttavia, sembrerebbe che la codifica corticale del dolore sia definita più dai processi affettivi che dai processi cognitivi.
L’importanza evolutiva delle “emozioni”
Antonio Damasio in un saggio intitolato “Lo strano Ordine delle cose” ci riporta il suo pensiero su come si siano evoluti i sistemi nervosi fino ad arrivare ai nostri.
I primi esseri viventi non potevano contare su un sistema nervoso complesso come il nostro, anche perché si trattava di esseri unicellulari.
Ma anche se non avevano un sistema nervoso, potevano comunque mettere in atto una serie di comportamenti atti alla conservazione della vita.
Questi comportamenti erano innescati e guidati da quelle che Damasio chiama “Feelings” e che potremmo tradurre come “sensazioni” o “emozioni“.
Queste “Sensazioni” avvisavano l’animale di un eventuale pericolo, oppure di un’ ambiente adatto alla sopravvivenza innescando delle sensazioni piacevoli o spiacevoli che si sarebbero poi evolute in quelle che chiamiamo “Emozioni”.
Rappresentano un sistema di monitoraggio dell’ambiente interno ed esterno molto primitivo che viene conservato ancora oggi in quanto fa da substrato al nostro sistema Nervoso Moderno.
Essendo il dolore un meccanismo di sopravvivenza, è più che normale che sia collegato all’aspetto delle “sensazioni” e delle “emozioni”.
Lo studio
Ai partecipanti di uno studio è stato chiesto di valutare la propria esperienza di dolore in un contesto sperimentale (stimolo dolorifico indotto dall’esposizione a bassa temperatura).
Successivamente è stato chiesto loro di valutare l’esperienza dolorosa secondo la dimensione della spiacevolezza e secondo la dimensione dell’intensità, due aspetti apparentemente simili ma ben distinti neurologicamente parlando.
Il confronto diretto delle valutazioni individuali con l’imaging funzionale ha sottolineato in maniera incontrovertibile l’importanza degli aspetti emotivo-affettivi per i processi corticali di codifica del dolore.
In poche parole, i processi corticali di valutazione della spiacevolezza del dolore vengono elaborati più velocemente e si verificano prima di qualsiasi processo cognitivo o elaborazione legata alla valutazione dell’intensità del dolore.
I risultati sottolineati da questo studio portano ad elaborare alcuni ragionamenti da dover verificare in futuro:
1. Se il dolore è interocezione (ovvero percezione del nostro ambiente interno) e se le stesse emozioni subiscono un processo interocettivo, come possono essere ancora scissi clinicamente e neurofisiologicamente i due fenomeni? Sappiamo infatti che gran parte della disabilità, in questo ambito, sia proprio derivante da una eccessiva focalizzazione sulle connotazioni emotive dell’esperienza “dolore”. Pertanto, occorre che gli approcci terapeutici inizino a tenere relmente conto di questo aspetto, non solo in termini teorici ma anche pratici;
2. Sarebbe auspicabile che gli studi in questo settore, inizino ad includere alle scale inerenti l’intesità del dolore una nuova scala esplorante la dimensione della spiacevolezza del dolore;
3. Se la mappatura dei circuiti e delle aree centrali legate al dolore è sempre più chiara, nulla esclude che potremmo trovarci ben presto davanti ad una potenziale soluzione per misurate il dolore in maniera quasi oggettiva.
Dolore: campanello di allarme
Da questi studi si evidenzia come il dolore e il suo legame con l’aspetto emotivo profondo rappresentino un forte segnale di allarme che troppo spesso NON viene preso in considerazione.
Nella Medicina Orientale il dolore viene considerato sotto vari aspetti:
- Portato dal Vento: il dolore assume una qualità errante molto simile a quelle che oggi chiamiamo Radicolopatie o Neuropatie. Secondo il simbolismo Cinese corrisponde alla PAURA DI NON POTER CONTROLLARE IL CAMBIAMENTO.
- Portato dal Freddo: il freddo è un agente atmosferico che blocca, congela il corpo. In questo caso il simbolismo vede la persona BLOCCATA E IMPOSSIBILITATA a cambiare.
- Portato dell’Umidità: simboleggia qualcosa che ristagna. Nel caso specifico il simbolismo richiama a una DIFFICOLTA’ NEL PRENDERE LA SCELTA DI CAMBIARE.
Ovviamente questi sono parametri non dimostrati a livello scientifico… Ma a livello di mia esperienza clinica vengono molto spesso confermati dall’osservazione delle persone che si rivolgono a me.
Nei casi estremi ci sono sviluppi del dolore molto forti come quello dell’ ALGODISTROFIA
NON E’ COMPITO MIO RISOLVERE IL LORO PROBLEMA EMOTIVO ovviamente. Ma può essere compito mio spiegare come spesso continuare a rifare esami che hanno già dato esito negativo sperando di trovare un famigerato colpevole meccanico sia poco utile e magari potrebbe servire maggiormente concentrarsi per modificare alcune delle cose che hanno portato le persone a trovarsi in quella situazione.