Pochi giorni fa arriva in studio una signora per un problema di Lombalgia. Fin dai primi minuti di colloquio appare molto agitata e dal suo modo di comportarsi e di parlare sembra che il dolore sia abbastanza intenso e che le impedisca alcuni movimenti anche semplici.
Man mano che prosegue la visita cerco di capire come si è sviluppato e come è iniziato il problema, cosa non semplice in quanto l’agitazione della signora la rendeva anche poco precisa nel descrivere il suo problema.
Finalmente riesco a calmarla e a farmi spiegare l’esordio del suo mal di schiena. Il problema è insorto per la prima volta circa 6 mesi prima (mai sofferto di mal di schiena in precedenza) con un evento acuto apparentemente senza traumi o sforzi eccessivi, ma svolgendo il suo lavoro quotidiano (lavora come commessa in un supermercato) al quale è abituata in quanto lo svolge da almeno 20 anni.
Un dolore ancora “presente”
Mentre la osservo muoversi sembra che alcuni movimenti le costino ancora fatica e le chiedo se il dolore al momento è ancora importante e quanto sia durato l’evento acuto.
La sua risposta è decisamente esemplare: “il primo episodio è stato molto doloroso… Sarà durato una ventina di giorni in tutto… Non potevo fermarmi da lavorare e ho continuato, ma ho paura di aver fatto dei danni.. al momento il dolore è molto diminuito ma rimane un leggero fastidio che ho paura possa aumentare e tornare a bloccarmi come prima”
Quindi il dolore, dopo un episodio acuto durato circa 20 giorni, è diminuito molto e al momento rimane solo un fastidio. La signora in questi mesi ha fatto visite specialistiche che hanno confermato la diagnosi di episodio di Lombalgia acuta aspecifica. Un paio di specialisti hanno imputato la causa a iniziali segni di artrosi delle faccette articolari, i quali però sono del tutto normali da trovare nelle radiografie oltre a una certa età e difficilmente possono dare questi tipi di sintomi.
Paura di fare altri danni
Si lamenta del fatto che il medico non ha prescritto una Risonanza magnetica, in quanto teme che ci siano altre strutture danneggiate e che lavorandoci sopra possa arrecare maggior danno.
Cosa ci dice la Scienza del dolore?
Le attuali linee guida sulla gestione clinica della Lombalgia Aspecifica ci informano che:
- L’atteggiamento del clinico deve essere rassicurante verso la buona possibilità di recupero una volta escluse patologie più importanti
- un episodio acuto può durare dalle 2 alle 8 settimane
- se possibile è molto meglio mantenere la propria attività lavorativa in modo da restare attivi sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista mentale aumentando le capacità di guarigione
- a meno che non ci siano segni clinici di condizioni mediche importanti (Red Flags che vanno indagate dal medico e dal fisioterapista) non serve eseguire troppi esami diagnostici per immagini in quanto potrebbero essere controproducenti perché mostrano alterazioni che possono non essere responsabili del problema, ma semplicemente segni dell’età a cui si danno erroneamente le colpe del problema in atto e la persona rimane impaurita aumentando la percezione del suo problema
- Devono essere indagati i fattori psicosociali della persona che potrebbero essere con-causa importante del dolore
- Utilizzo a bisogno di Anti Infiammatori non Steroidei (FANS) da concordare con il proprio medico e solo al bisogno
Cosa sta succedendo?
Indagando i meccanismi del dolore possiamo comprendere come il nostro cervello riceva costantemente tantissimi INPUT sia dal nostro mondo interno sia da quello che ci circonda. Il cervello ha il compito di decidere se la situazione globale (INTERNO+ESTERNO) è da considerarsi pericolosa oppure no e nel caso avvertirci che dobbiamo fare qualcosa per modificare le circostanze in cui ci troviamo immersi.
Dopo la prima esperienza di Lombalgia acuta, è normale che la persona si senta vulnerabile e preoccupata di non poter più tornare come prima. Inoltre la vecchia concezione del corpo meccanicistico secondo la quale a dolore corrisponde per forza un danno del tessuto, porta la persona a evitare a tutti i costi di muoversi in quanto teme di fare ulteriore danno.
Questa concezione è ormai dimostrato essere errata e sappiamo che la percezione del dolore può essere influenzata in bene e in male da una serie di fattori di cui quello dello stato del tessuto è solo una minima parte.
Paura del Movimento
Se non siamo in grado di rassicurare la persona, questa svilupperà facilmente sulla che viene definita Chinesiofobia o Paura del Movimento. In pratica inizierà a evitare movimenti ritenuti “scorretti” fino all’esagerazione di non chinarsi per raccogliere un foglio di carta perché anche se al momento non ha male, potrebbe creare un danno.
Questo atteggiamento di evitamento porta il Sistema Nervoso in uno stato di “Guardia” perenne come se fosse un boxeur sul ring che sta aspettando il gancio destro del suo avversario.
Il problema è che in questo stato, il corpo si irrigidisce sia mentalmente che fisicamente e anche i movimenti più banali possono essere percepiti come pericolosi in quanto non è pronto a farli.
Se vengono percepiti come pericolosi, il Sistema Nervoso ha il compito di avvisarci un possibile pericolo e quindi diventeranno movimenti spesso e volentieri dolorosi perché il cervello non vuole farci andare in una direzione di pericolo.