Normalmente siamo abituati a considerare il dolore come il “semplice” risultato di un danno periferico di un tessuto come possono essere la pelle, i tendini, i muscoli, le ossa…
Quindi abbiamo sempre a che fare con un tessuto danneggiato nel momento in cui avvertiamo un dolore??
E’ veramente così lineare il nostro corpo??
Se consideriamo alcuni sport e osserviamo a quali “danni” vanno incontro gli atleti tutte le volte che giocano, potremmo arrivare a pensare che a fine partita nessuno di loro il giorno dopo sia in grado di camminare per i dolori fortissimi dovuti ai “traumi” subiti nel gioco
Per fortuna non è proprio così semplice, altrimenti le varie quadre di calcio e gli atleti degli sport da combattimento non andrebbero oltre il primo allenamento… figurarsi arrivare in partita…
Il cervello gioca un ruolo fondamentale nella percezione del dolore!!
“Danno del tessuto” e dolore.. Sono correlati?
Sembrerebbe di no.. almeno non in modo così stretto e lineare come siamo abituati a pensare.. In alcuni studi eseguiti negli ultimi anni si è notato come non ci sia una chiara corrispondenza tra danno anatomico e dolore.
Nell’ immagine possiamo osservare come molte condizioni dei tendini della spalla che normalmente consideriamo apportatrici di dolore, siano state riscontrate in soggetti asintomatici, e che quindi non avevamo mai avuto dolori alla spalla
Nel grafico possiamo trovare dall’alto in basso condizioni di :
- Rimodellamento della Glaniode (artrosi)
- Tendinopatia del sovraspinato
- Sublussazione geno-omerale
- Rottura del Sovraspinato
- Osteoartrosi della Acromion Claveare
- Lesione di Bennet
Ma quindi da dove arriva il dolore?
Il dolore è una percezione, o meglio, un OUTPUT del cervello. In ambito delle Neuroscienze si dice spesso: “NO BRAIN; NO PAIN”. Questo perché l’unica parte del nostro corpo a permetterei di sentire il dolore, in qualsiasi forma, è proprio il cervello.
Nel momento in cui ci schiacciamo un dito con il martello, dal tessuto danneggiato verranno inviati al cervello dei segnali che lo informano di un danno (nocicettivi). Oltre a una determinata soglia, il cervello capisce che il danno può essere pericoloso e nel tentativo di proteggerci scatena il dolore per creare nell’organismo delle risposte difensive: allontanamento dalla fonte del pericolo, immobilizzazione per proteggere la parte danneggiata, Ipersensibilità della zona per evitare ulteriori danni.
Tutti i “danni” vengono percepiti allo stesso modo?
Assolutamente no. Il contesto in cui la persona si trova è determinante. Ad esempio immaginiamo di avere un piccolo incidente domestico: un foglio di carta molto affilato ci taglia il polpastrello del dito mignolo della mano sinistra. A seconda del contesto questo stesso danno darà problemi diversi e una percezione diversa del dolore:
- Un calciatore potrà provare un po di fastidio nel momento in cui deve utilizzare la mano, ma normalmente non farà troppo caso al piccolo paglietto in quanto questo non interferirà con nessuna delle sue attività principali e che gli danno sostentamento
- Un violinista che si procura questo taglio poche ore prima di un concerto che andrà in mondovisione, avrà una percezione del problema enormemente diversa e i meccanismi di protezione che interverranno saranno molto diversi da quelli del calciatore.
Il risultato potrebbe essere per entrambi una percezione minima del dolore, ma per diverso funzionamento: il calciatore perché non gli importa più di tanto. Il violinista grazie alla Adrenalina potrebbe bloccare i meccanismi del dolore, oppure avere un atteggiamento catastrofizzante aumentando a dismisura le reazioni di protezione e quindi il dolore.
Un ultimo esempio
Pensate a un bambino che sta giocando felice a con i suoi amici e all’improvviso cade. Sappiamo tutti che se molto piccolo, si girerà immediatamente a guardare la mamma per capire se deve preoccuparsi oppure no.. Se la mamma si mostrerà agitata e impaurita, il pianto del bambino potrebbe sentirsi anche a lunga distanza… viceversa se la mamma non si mostrerà preoccupata, molto facilmente il bimbo riprenderà il gioco senza troppi problemi.
Se il bambino è più grande, nel momento in cui cade può anche continuare a giocare e riuscire a finire la partita senza accorgersi che il ginocchio ha una ferita oppure che la caviglia si sta gonfiando. Capita spesso che il dolore arrivi in un secondo momento, a volte non appena viene fatto notare al bambino.
Cerchiamo di comprendere tramite questi esempi, quanto il contesto sia fondamentale per la nostra percezione del dolore. Una volta compreso questo, possiamo capire quanto si a importante modificare il contesto che ci circonda per poter migliorare la nostra percezione del pericolo e quindi l’OUTput del dolore.